Arturo rientrò di scatto nello scompartimento e si sedette al mio fianco.
Sembrava abbastanza nervoso e provava a far finta di nulla, mi guardava ripetutamente.
Questo mi stava facendo agitare brutalmente e smisi di mangiare il tramezzino.
Potevo percepire benissimo l’agitazione che prendeva il sopravvento sul mio corpo, il respiro che aumentava, il battito del cuore che impazziva, le gambe che non riuscivano a trovare una posizione e si muovevano continuamente, gli occhi che non riuscivano a fissarsi su qualcosa e le stomaco che si stava sempre più accartocciando su se stesso.
Potevo sentire i passi dei poliziotti che passavano da uno scompartimento all’altro e si avvicinavano inesorabilmente.
Il mio sguardo vagava e potevo vedere Arturo che era molto teso, forse anche più di me, mentre invece Gabriele era molto calmo, anche troppo.
I passi si avvicinavano, ormai era il nostro turno, i poliziotti praticamente senza guardarci si misero sulla soglia della porta dello scompartimento e pronunciarono quelle parole che speravo di non sentire e che mi fecero raggelare il sangue nelle vene.
“Documenti prego!”
Il tono era perentorio e per un attimo interruppe quell’incredibile silenzio che si era creato nello scompartimento.
Io non sapevo cosa fare, ero praticamente bloccato.
Arturo stava cercando i documenti e pure Gabriele, ma io ero praticamente a bocca aperta che fissavo i poliziotti che a loro volta mi fissavano stupiti.
In quel momento Arturo e consegnò i suoi documenti ai poliziotti, poi si girò verso di me e avvicinò la sua bocca al mio orecchio.
Quello che mi sussurrò rimase impresso nel mio cervello a fuoco.
“Fidati solo di quello che ti senti dentro.”
Poi si voltò verso il poliziotto, che pronunciò una frase che quasi mi fece svenire.
“Massimo Accorsi, è pregato di seguirci in caserma per maggiori accertamenti”.
Che altro potevo fare se non seguirli?
Stavo per alzarmi e seguirli, quasi lacrimando dalla disperazione, quando vidi la scena che fece definitivamente impazzire il mio cervello.
Arturo si stava alzando e i poliziotti gli stavano indicando la strada da seguire.
Sul momento non capii perché credessero che lui fosse me.
Dopo pochi attimi o più, non mi rendevo più bene conto del passare del tempo, vidi entrare un altro poliziotto che chiese nuovamente i documenti.
Gabriele a quel punto disse un’altra frase che non fece altro che aggravare il mio già pessimo stato mentale.
“Sono un diplomatico del Vaticano e lui è il mio assistente.”
Il poliziotto guardò in maniera molto frettolosa i documenti che Gabriele gli aveva dato e poi uscì dalla stanza aggiungendo solo:
“Scusate il disturbo, spero passiate una buona giornata.”