Il calcio mi è sempre piaciuto fin da piccolo.
Posso ancora ricordarmi benissimo le prime volte che giocavo a calcio con mio padre o con i miei amici del quartiere.
Ormai è passato molto tempo da quei momenti, ma ricordarli mi fa sentire ancora bambino e ricordare quei momenti spensierati un cui giocavo e vivevo l’attimo fino al midollo.
Questa mia passione per il calcio crescendo diventò una vera e propria ossessione, giocavo continuamente, volevo diventare come i campioni che vedevo in televisione, Van Basten, Baggio, Rossi e tanti altri.
Purtroppo non ero molto forte all’epoca e questo non piaceva ai miei allenatori, che mi facevano giocare poco e in ruoli non adatti a me.
Dopo anni di duri allenamenti individuali per aumentare la massa e migliorare il tocco e il tiro riuscii ad impressionare qualcuno e mi ritrovai all’età di diciassette anni a giocare nelle giovanili del Lecce.
Ero troppo “buono” durante il gioco e tutta la fisicità del gioco moderno non faceva molto al caso mio, quindi sebbene avessi un ottimo tocco di palla e tiro rimasi sempre nella squadra delle giovanili, finché per un’insieme di fattori non venne anche la mia occasione.
Avevo ormai 24 anni e la mia carriera doveva già essere decollata se volevo sperare di mettermi in mostra giocando partite in serie A, ormai ero in fase calante, eppure il fato volle che tre delle ali del Lecce o si infortunarono o erano squalificate.
Il mister non aveva tempo di prendere altri giocatori e in piena emergenza decise di schierare me come ala titolare.
Non potevo crederci, finalmente il mio sogno si realizzava, giocavo con i migliori e soprattutto esordivo in una partita casalinga difficilissima contro la Juventus.
Ero euforico, non mi tenevo una maglia con scritto dietro il mio nome e numero fortunato, il 72, una partita di fuoco e tanta voglia di correre.
Solitamente la tensione gioca brutti scherzi, ma a differenza del normale quella volta ero concentratissimo e nei primi minuti di gioco feci veramente impazzire la difesa juventina.
Il tutto si concretizzo al 28′ minuto di gioco, una mia velocissima discesa sulla fascia sinistra sul filo del fuorigioco mi permise di lanciare una bordata dal limite dell’area ad aggirare il portiere.
Purtroppo per me tale tiro si stampò inesorabilmente contro la traversa a portiere battuto.
Fortunatamente per la squadra il pallone fu immediatamente ribattuto in porta dal nostro bomber.
Non ci potevamo credere, stavamo vincendo 1 – 0.
Da quel momento la mia partita cambiò, ero l’osservato speciale e ogni mio movimento era bloccato o ostacolato.
Falli brutti, anche da dietro, ma la mia voglia di continuare spesso mi faceva continuare e l’arbitro non fischiava nemmeno.
A metà del secondo tempo ormai ero esausto, avevo le caviglie e polpacci distrutti dalle entrate avversarie e pure la spalla sinistra mi faceva male.
La partita si era pareggiata, la Juve era riuscita a mettere a segno il gol del pareggio.
Vidi uno spiraglio e decisi di buttarmi dentro, il pallone filtrante e basso colse di sorpresa la difesa e mi trovai al limite dell’area con solo il portiere davanti.
Sentii una grande spinta da dietro, non riuscivo a non cadere, la palla si stava allontanando, iniziai a rotolare.
Vidi la terra, poi il portiere e infine la palla, era ancora lì libera tra me e la porta con solo il portiere in mezzo.
Non capivo più nulla, ero accecato dalla furia, volevo il gol, non vedevo altro.
Con un colpo di reni mi rialzai in pochissimi attimi e ancora sbilanciato provai ad indirizzare la palla in porta.
Pochissimi nervosissimi e velocissimi attimi, la palla schizzò contro la spalla del portiere, sorpreso della mai rapida reazione, e scheggiò il palo appoggiandosi sul fondo.
Ero rabbioso, non pensai ad altro se non a riguadagnare la mia posizione per la ripresa del gioco.
L’allenatore era furioso e continuava ad insultarmi ma non capivo il perché, mi sembrava di aver fatto una bella azione.
Dopo pochi minuti avvenne il fatto che condizionò tutta la mia vita futura, palla lanciatami sul filo del fuorigioco e il difensore che stava recuperando in maniera energica.
Memore di tutti i suoi precedenti brutti interventi reagii anticipando il suo intervento, mi appoggiai pesantemente con il gomito nel suo stomaco e riuscii ad evitare l’intervento.
Ormai era una passeggiata, ero solo io e il portiere con tutti gli altri troppo lontani per recuperare.
Con la coda dell’occhio vidi agonizzante a terra il difensore con cui mi ero appena scontrato.
Senza pensarci buttai la palla nel vicino fallo laterale.
Vidi la faccia dell’arbitro che mi guardava allibito e attonito.
Mi avvicinai al giocatore per chiedergli se stava bene, ma dopo pochi attimi era già in piedi pronto a ricominciare.
A quel punto i miei compagni con uno sguardo misto tra arrabbiato e sorpreso mi fecero segno di guardare la panchina.
Il mister mi stava chiamando, era pronto un cambio, era il mio.
Di corsetta leggera mi avvicinai alla panchina e uscii dal campo.
In quegli attimi lo stadio esplose, metà dei tifosi stava ridendo e l’altra metà mi stava insultando, ma con urla gesti che non mi sarei mai aspettato.
Avevo uno stadio contro, l’allenatore non mi disse nulla, nemmeno mi guardò.
L’assistente mi prese e iniziò a trascinarmi negli spogliatoi.
Io ero perso a guardare attonito tutte quelle persone che inveivano contro di me, non riuscivo a pensare.
Quando ormai ero a due passi dagli spogliatoi vidi un bambino che mi veniva incontro, lo guardai fisso negli occhi, lui fece lo stesso e pochi attimi dopo mi sputò un faccia.
Non giocai mai più a calcio se non con i miei tre figli.