La mensa era praticamente deserta e io mangiavo come sempre da solo, ma era diverso, molto diverso.
Non c’era vitalità , allegria o rumore, solo qualche frettolosa persona che entrava, mangiava e tornava alle su mansioni.
Erano passate quasi 56 ore da quando mi avevano sparato e il centro era come morto, ma forse sarebbe meglio in agonia visto e considerato che tutti facevano il loro lavoro ma nulla più.
“Ciao Marco, posso sedermi?”
Io mi ero perso a guardare dall’enorme vetrata della mensa che dava sull’ingresso principale del centro.
Da qualche ora stavano arrivando mezzi militari italiani che non entravano ma si accalcavano presso l’entrata in attesa probabilmente di un’autorizzazione ad entrare.
Così fui colto quasi alla sprovvista quando Fulvio mi salutò.
“Eh… Si certo, siediti pure.”
“Tutto il centro è in subbuglio da più di due giorni, ma nessuno sa quali sono i motivi reali. E ora anche militari italiani che si assiepano all’entrata. Tu sai qualcosa?”
“Quello che so sono semplici voci di corridoio, sono stato in infermeria in questi giorni e non riesco a parlare ne con il tenente Corvini ne con il maggiore Testoni. Qualcosa è successo, ma non so di preciso e quindi sto zitto che è meglio.”
“In infermeria? Ma stavi male o… Eri tu quello ha cui hanno sparato?”
Incredibile, mi avevano sparato da poco più di due giorni e quasi non si vedeva il segno della pallottola, solo un leggero arrossamento e al tocco un dolore che veniva amplificato decine di volte dal ricordo del momento in cui la pallottola aveva percorso la mia carne.
“Si, ero io e ti consiglio di non farti mai sparare perché non è proprio un toccasana.”
“Lo immagino, ma allora sei tu quello che ha salvato il centro, almeno così si dice in giro.”
Io salvare il centro, e dire che volevo fuggirne il più in fretta possibile. Come sono strani i sentieri della vita.
“Salvato son parole grosse, praticamente non ho fatto nulla se non farmi sparare e ti posso assicurare che non so se lo rifarei, anche sapendo che il taglia e cuci oggigiorno è così evoluto.”
“Sai, io e gli altri tra poco, verso le 14 ci troveremo al bar interno per parlare un po’ e giocare a biliardo, se ti va sei il benvenuto.”
Un invito che mi colse di sorpresa, non pensavo, anzi non mi interessava più di tanto fraternizzare, ma in fin dei conti è impossibile non fraternizzare continuando a vivere in un ambiente pieno di persone.
“Verrei molto volentieri, ma alle 18 inizia la mia lezione di letteratura con Pozzo e non penso che potrò venire.”
“Lezione? Ma se le nostre le hanno tutte sospese fino a data da destinarsi?”
“Non so che dirti, io è da questa mattina che ho ripreso a fare le mie solite lezioni e non penso che potrò saltarle.”
“Allora vorrà dire che sarà per un’altra volta.”
In quel momento la mia attenzione fu attratta da quello che stava accadendo all’esterno, il Sergente Terzi che continuava a discutere con graduati dell’esercito italiano. La situazione sembrava un po’ tesa e il mio innato istinto di curiosità stava prendendo il sopravvento.
Che diamine ci facevano tutti quei militari italiani lì fuori?
“Senta Sergente, io sono un tenente dell’esercito italiano e mi è stato ordinato di dislocare le truppe dentro questa struttura. Questi sono i miei ordini, quindi ci faccia entrare.”
“Io la capisco perfettamente, ma anche noi abbiamo degli ordini e al momento sono che voi non siete autorizzati ad entrare.”
“Va bene, ora sentirò nuovamente dal mio stato maggiore e speriamo che la situazione si sblocchi, perché per ora non ho l’ordine di farlo con la forza, ma la situazione potrebbe cambiare.”
“Allora speriamo che si sblocchi nel migliore dei modi il prima possibile.”