“Dottor Gervasi! Quanto le manca!”
“Poco maggiore, poco. Gli uomini stanno facendo prima che possono, ma forse ci metteremo qualche minuto di troppo.”
“Allora fate più in fretta!”
Il tempo sta per scadere e l’aria a nostra disposizione pure, forse una decina di minuti di margine.
Il vero problema è la solerzia del tenente.
In fin dei conti gli ho dato un ordine quindi… Meglio rispettare i tempi.
Come sempre ero rapito dalla narrazione di Pozzo che mi stava leggendo un brano dalla metamorfosi di Kafka, che nemmeno mi resi conto del passare del tempo e dell’aumentare della confusione all’esterno del suo studio.
Persone che correvano, parlavano e correvano ancora.
Inizialmente ero come infastidito dal loro ciarlare, ma dopo qualche attimo crebbe in me un piccolo grande dubbio.
La mia curiosità prese il sopravvento e mi alzai andando verso la porta.
“Ma insomma Marco, vuoi stare un po’ attento?”
“Mi scusi prof, ma secondo me sta succedendo qualcosa.”
Non feci in tempo ad aprire la porta che subito tutto mi fu chiaro.
La tensione con i militari italiani stava sfociando in qualcosa di più serio e pericoloso.
L’ansia mi prese totalmente rendendomi difficoltoso persino l’atto autonomo di deglutire.
Iniziai a correre quasi senza meta finché non arrivai nella mensa.
Dal grande finestrone si poteva vedere come l’esercito italiano si stesse preparando ad entrare con la forza, mentre gran parte del personale del centro si era ammassato tutto davanti all’ingresso.
Non riuscivo a pensare, corsi solo più forte che potevo verso l’ufficio del tenente, dovevo far qualcosa, non potevo lasciare che tutte quelle persone rischiassero di morire, non era giusto, non avevano fatto nulla di male a nessuno.
Francamente non pensavo avrei trovato il tenente nel suo ufficio, corsi in quella direzione… a dire il vero non so perché.
Ora come ora potrei dire che mi guidò il mio Dio o uno dei miei Dei, ma se devo essere sincere sarebbe anche potuto essere il fato, il destino, la paura, Murphy o semplicemente il caso.
Fatto sta che appena entrai affannato nell’ufficio del tenente rimasi sorpreso.
La stanza era invasa dal suono di un allarme da orologio e il tenente era lì seduto a fissare il vuoto, anche se lo sguardo intersecava il suo giocherellare con una chiave elettronica.
“CHE DIAVOLO STA COMBINANDO!”
Mi uscì dalla bocca praticamente senza pensarci, ma il tenente praticamente non reagì se non con con un flebile filo di voce.
“Il tempo è scaduto.”
“Che tempo e tempo. Fuori c’è l’esercito italiano che vuole entrare.”
“Si, ma tu non capisci. Il tempo è scaduto e ho l’ordine di far saltare la Struttura.”
“COSA?!”
Non capivo, non potevo capire, era tutto troppo assurdo.
“Il maggiore e tutti gli altri, li devo far saltare, ma non è giusto, è stato un mio errore.”
Ormai ero a pochi passi dal tenente che mi guardava perso ma pronto ad eseguire gli ordini.
“Calma… Ragioniamo… Fuori abbiamo un esercito pronto ad attaccarci e poi qui persone da far saltare in aria… Quindi che fare?”
Stavo iniziando a sudare pesantemente, potevo sentire le gocce di sudore scendermi lungo la faccia.
Il suono dell’allarme smise d’improvviso.
Non so proprio perché lo feci, afferrai la chiave elettronica dalle mani del tenente e mi misi a correre.