Stavo camminando tranquillamente senza una meta precisa ma per il puro piacere di passeggiare.
Mi trovavo in un’area di periferia con appartamenti di due o tre piani affacciati su aree coltivate con ancora vecchie case di contadini.
Da una di queste case un gruppetto di uomini piazzato davanti al portone di una vecchia stalla o fienile mi fece segno di raggiungerli.
Avvicinandomi riconobbi alcuni di quegli uomini e dopo i saluti mi ritrovai all’interno mentre era in atto una discussione.
“Non possiamo più subire in questo modo, dobbiamo reagire e l’unica possibilità è colpirli fontalmente e di sorpresa.”
Io stavo ascoltando attento, in disparte, questi piani di ribellione e mi sentivo carico perché sembravano validi e concreti anche se molto rischiosi.
L’oratore fermò la sua esposizione e si rivolse verso di me.
“E tu che sei nuovo, cosa ne dici?”
“Mi state proponendo di fare una cosa così grande da portare incredibile onore e gloria, ma così impossibile da portare a morte certa, e io che dovrei rispondere? Accetto.”
Pronunciando quell’ultima parola mi sentii avvampare di un calore impressionante in tutto il corpo.
Lo sguardo di rispetto e felicità apparso sui volti degli altri presenti però durò pochi istanti, il tempo di voltarmi verso l’ingresso e pronunciare la seguente frase: “Fuori tutti subito!”
Il panico si diffuse nel fienile e a giusta ragione, visto che non riuscii nemmeno ad iniziare a correre che una squadra di militari fece irruzione nella stanza. Noi come formiche in fuga dal formicaio in fiamme ci sparpagliammo verso tutte le uscite.
I proiettili iniziarono a piovere come gocce d’acqua durante un temporale estivo.
Mentre correvo il più forte possibile ebbi il tempo di gridare ai miei compagni di seguirmi perché ce la saremmo cavata.
Vidi alcuni di loro iniziare a seguirmi ma poco dopo lanciarsi contro militari che volevano spararmi o assalirmi incuranti del pericolo a cui andavano incontro.
Dopo poco mi ritrovai nel mezzo della campagna solo ed illeso. Alle mie spalle sentivo ancora le grida dei miei amici e ripetuti spari.
Ero furioso perché nessuno di loro era con me, volevo fare qualcosa, ma ormai ero distante e nessuno mi prendeva più in considerazione.
Mi sentivo disperato e sconfitto per non aver salvato nessuno e una strana sensazione si fece più pressante.
Una lampadina mi si accese e mi resi conto che stavo sognando proprio quando mi sentii avvinghiare da qualcosa di opprimente.
Istintivamente però reagii con così tanta convinzione che sentii il mio braccio destro reale muoversi in sincrono con quello del sogno fino a raggiungermi il petto.
Ora non ero più nella campagna, ero in una specie di limbo buio e potevo percepire una sagoma davanti a me che mi opprimeva sul petto.
La mia mano si strinse fino ad afferrare quella sagoma per poi allontanarsi e strapparla da me. Potevo sentire le emozioni di quell’ombra mutare da un piacere sadico ad una paura agghiacciante.
La fissai tutto il tempo gustandomi quell’attimo e lasciandomi uscire una strana frase: “Ora è il mio turno!”
Serrai sempre di più la mano tra incredibili dolori finché non vidi l’ombra smettere di dimenarsi. La lanciai lontano sentendomi crollare le forze.
Come fosse un riflesso per un istante aprii gli occhi vedendo la mia stanza del Centro, poi per la stanchezza li richiusi e mi lasciai cadere nuovamente nell’incoscienza.
Nel mio ricordo successivo mi ritrovai in una via affollata di un centro cittadino a camminare con qualcuno che mi era famigliare che mi stava parlando di qualcosa di importante ma che purtroppo non mi rimase impressa.
Questo è quello che mi ricordai la mattina al mio risveglio. Mi sentivo fisicamente spossato con un flebile dolore alla mano e polso destro, eppure tranquillo ed euforico, come se mi fossi liberato di un peso che ritenevo ormai inamovibile.
Il Dottore quella mattina mi fece gli ultimi brevi esami.
Il Sergente mi accompagnò all’elicottero che mi avrebbe riaccompagnato in tempo per raggiungere Fulvio e Raffaele quella sera stessa. Non c’erano altri, solo io, il sergente e l’equipaggio dell’elicottero. Mentre stavo per salire già con le pale in movimento ecco arrivare di corsa il Dottore che mi si avvicinò molto per parlarmi all’orecchio.
“Apri la mano sinistra e prendi quello che ti passo senza farti vedere. Non lo dovrei fare, ma credo potrà esserti molto utile. Mi raccomando, non perderlo e nel caso distruggilo.”
Non disse altro e si allontanò per permettere il decollo dell’elicottero.
Quando fui seduto guardai fuori dal finestrino alla mia sinistra e vidi di lato dietro al sergente e dottore, in mezzo a delle piante basse una sagoma che sembrava quella di Dig. Appoggia la mia mano contro il finestrino e Dig, proprio mentre l’elicottero iniziò la sua ascesa, fece qualche passo per uscire al sole e farsi vedere meglio.