Ormai erano passate alcune settimane, forse addirittura un mese, e mi stavo abituando a quella vita o forse sarebbe meglio dire quelle vite.
Dico così perché mi stavo dividendo tra una nuova versione della mia vecchia vita, una vita creata dal Centro e un’idea i vita che volevo diventasse mia.
I tempi delle mie insicurezze della mia vita passata erano si lontani ma ancora latenti e il fatto di dover vivere ogni giorno accanto a quelle persone che avevano fatto parte della mia precedente esperienza mi stava lentamente lacerando la mente. Come se non bastasse la fermezza e l’incredibile chiarezza di me che avevo avuto nel periodo del Centro si erano annebbiate una volta venuto a contatto con il mondo reale.
In tutto quello si stava inserendo la mia volontà di aiutare Raffaele, la mia decisione di aiutare ugualmente il Centro e il fatto che volessi rivivere vecchie emozioni e aiutare le persone con cui pensavo di essere in debito.
Non era però finita lì, perché quella Katana che mio nonno ha consegnato a Raffaele, che aveva accettato di conservare finché non avrebbe trovato un degno possessore, mi stava tormentando dalla prima volta che la vidi come se fosse in qualche modo importante e legata a me.
I pensieri si stavano addensando come nubi temporalesche e la mia mente saltava dall’una all’altra come fosse un fulmine impazzito.
Mi rifiutavo di sfruttare l’ipospray che mi aveva dato il dottore perché il dosatore intelligente bloccava una sfruttamento troppo ripetuto nel tempo e non volevo sprecarlo inutilmente. Le missioni che avevo fatto per il centro in quelle settimane erano state tutte semplici trasporti di materiale che non avevano avuto alcun intoppo e questo mi creava una strana inquietudine. Raffaele dopo quello che era accaduto non era più stato preso di mira sebbene continuasse imperterrito lungo la strada che aveva deciso di percorrere.
Ormai ero come ipnotizzato da quel soffitto bianco che fissavo da ore in cui si riflettevano i miei pensieri.
La mia mano sinistra continuava a stringere la mia catenina con la speranza di ricevere tutte le risposte.
Era quasi l’alba ed ero sdraiato sul mio divano a due piazze, con i piedi a penzoloni e la mano destra appoggiata al pavimento freddo.
Però non ero l’unico nel bilocale che avevo affittato, nella mia stanza e al caldo sotto le coperte del mio letto c’era Monica. Avevamo passato la serata assieme e come solo lei riusciva a fare in quelle poche ora era riuscita a cancellarmi tutti i pensieri dalla testa. Aveva insistito per venire da me a vedere un film, ma si vedeva che era stanchissima e infatti dopo poco che era iniziato si addormentò pesantemente sul mio letto, così la misi sotto le coperte e la lasciai dormire. Prima di andare sul divano nella sala/cucina rimasi a fissarla mentre dormiva tranquilla e bellissima nel mio letto.
Chissà, forse mi voleva bene anche se pure questa volta non riuscivo a capire come mai. Avrei voluto dormire con lei abbracciandola con affetto eppure qualcosa di profondo dentro di me mi diceva che non dovevo farlo, non era il momento, non faceva parte della strada che avevo intrapreso.
Bella domanda. Quale strada avevo intrapreso?
Per un’istante tutto mi fu chiaro ma sprofondai in un sonno profondo che mi cancellò tutti i pensieri e da cui mi risvegliai solo verso mezzogiorno. Sopra di me c’era la coperta del mio letto che provvedeva a tenermi caldo. Una strana e piacevole sensazione però mi innondava la mia guancia destra e le mie labbra. Non capivo cosa fosse ma mi piaceva. Andai in bagno e in camera mia ma Monica non c’era più, se ne era andata e ormai chissà da quando.
Probabilmente se avessi saputo che quella sarebbe stata la mia ultima notte in quella casa e che il paese in cui avevo vissuto in tutti quegli anni sarebbe radicalmente cambiato da lì a tre giorni avrei… fatto le stesse scelte.
Ma dove sono?
Si, sono a casa di Marco, mi devo essere addormentata ma lui dov’è?
Certo che la sua casa è proprio spoglia, come se non gli importasse di nulla.
Eccolo sulla poltrona.
“Marco?”
Ma sta dormendo. Come è tranquillo e pacifico, mi sembra ancora più carino.
Starà prendendo freddo, ora vado a prendergli una coperta.
Non capisco come mai, ma più lo guardo e più mi ricorda Massimo, e dire che è totalmente diverso fisicamente e in parte anche caratterialmente.
Monica si preparò per tornare a casa sua facendo il minimo rumore per non svegliare il padrone di casa. Prima di uscire si chinò davanti a suo viso, gli allungò una mano sulla guancia per accarezzarla dolcemente e poi per un breve istante appoggiò le sue labbra a quelle di lui baciandolo lievemente.
Spero di non essere impazzita, ma Marco mi suscita le stesse emozioni di Massimo. Non pensavo fosse possibile.