“Ma lei come si permette di…”
“Io come mi permetto? Lei come si permette di dire queste cose!”
“Ma io sono il presidente del consiglio eletto dal popolo!”
Ormai Raffaele era sceso dai palchi fino a trovarsi a pochi metri da Silvano Bergonzi e si stavamo urlando in faccia. Immediatamente però moderò il tono della sua voce facendo si che fosse solo lui a sovrastarlo, poi si avvicinò ulteriormente fino a trovarsi ad un passo da Silvano. Lui gli arrivava al petto e anche se non era imponente Raffaele lo sovrastava come un gigante.
“Lei non è stato eletto dal popolo, perché secondo la sua legge elettorale i candidati sono scelti dal partito e non votati direttamente dalla popolazione. Questo però è niente in confronto a tutte le sue altre piccolezze!”
In quel momento intervenne Sergio Mosca per cercare di ristabilire l’ordine.
“Lei non può stare qui, chi l’ha fatta entrare e perché è microfonato?”
“Io sono Raffaele Taddia, un cittadino come tanti che si è rotto di veder andare in merda il paese in cui è nato e a cui tiene come fosse un familiare.”
“Presto prendetelo e fatelo uscire!”
La voce di Silvano, mentre si guardava attorno, era diretta alla sicurezza che doveva proteggerlo, peccato che Fulvio in quel frangente ne aveva sistemati alcuni mentre io mi ero occupato di uno che mi era vicino, gli altri non si mossero, come tutti gli spettatori e attrezzisti del teatro di posa.
Dopo qualche attimo di silenzio, per far apprezzare a chi stava a casa che nessuno sarebbe intervenuto, Raffaele ricominciò a parlare.
“Sembra che sia venuto il mio turno di parlare, quindi penso che le convenga stare un po’ zitto.”
Dicendo quella frase si piegò lievemente verso Silvano e portò il dito indice alla bocca nel classico segno del silenzio. Il suo sguardo era truce, quasi cattivo ma allo stesso tempo sereno e magnetico. Si voltò verso la telecamera e iniziò a parlare direttamente al pubblico, come se uscisse dallo schermo e apparisse nei salotti delle famiglie.
La situazione per me era fin troppo surreale, ma mi sembrava di averla già vista, di avervi già partecipato, di aver già sentito ogni singola parola. Quel discorso di Raffaele lo posso mettere tranquillamente al secondo posto tra quelli più belli, sinceri e forti che io abbia mai sentito. Espresse concetti complicati in una maniera così semplice e diretta che chiunque poteva capirli. La sua voce era forte ma calma, sicura e perentoria che nessuno potrebbe mai attribuire ad un uomo sui trent’anni. Nella sala c’era un silenzio assoluto e le sue parole sembravano riecheggiare tra le pareti e ritornare indietro. Intanto Silvano visibilmente sconvolto si era tornato a sedere nella sua poltrona senza riuscire a fare o dire altro, il conduttore Mosca era invece attonito ad ascoltare Raffaele.
Dopo quelli che sembravano essere pochi minuti ma che si rivelarono essere quasi 20, Raffaele terminò il suo intervento con una frase che sarebbe diventata storica.
“Qui non si parla più di chi tra i politici ha ragione, ma si parla delle persone che non sono più rappresentate e che non sanno più che fare per tirare avanti a vivere. Datevi una svegliata, è la gente tutta assieme che può cambiare le cose ed ecco perché io domani mi recherò a Roma al Quirinale per parlare con il Presidente della Repubblica per fargli capire che alla gente tutto questo non va più bene, nuove elezioni non serviranno, bisognerà ripulire l’ambiente politico da quegli ingrati che fanno solo gli interessi di pochi al posto di fare quelli di molti. Fare il politico non è un lavoro, è una vocazione.”
Detto quello voltò le spalle alla telecamera e si diresse verso l’uscita dello studio. Io e Fulvio ci aggregammo rapidamente senza farci inquadrare dalle telecamere.
Lo studio rimase in silenzio per qualche lungo istante e poi, proprio poco prima che uscissimo, scoppiò un fragoroso applauso che non sembrava volersi esaurire.
Raffaele aveva colpito nel segno, ma fino a che punto non lo si poteva capire, al momento lui aveva messo sul piatto tutto quello che era senza indugi. In macchina, mentre Fulvio guidava verso Roma, io mi voltai dietro verso Raffaele che non aveva praticamente proferito parola ed continuava a fissare le luci del paese attraverso il finestrino.
“Perché lo hai fatto? Stai rischiando te stesso per un paese che non mi sembra interessato.”
Raffaele non distolse lo sguardo dal paese che gli scorreva veloce al fianco.
“Non lo so perché l’ho fatto, non sapevo nemmeno cosa avrei dovuto dire, ma l’ho fatto, sentivo che dovevo farlo e quelle parole poi mi sono uscite come se non fossero nemmeno mie, anche se mi sono sempre appartenute. Ora non so come andrà a finire e cosa accadrà, ma qualcosa accadrà, lo sento. La gente è stanca e lo puoi vedere benissimo anche tu ogni volta che le guardi in faccia. Bisognava fare qualcosa, qualcuno almeno ci doveva provare.”
Raffaele smise di parlare continuando a guardare fuori, io non dissi altro e la discussione fu avvolta dal silenzio della macchina che viaggiava in autostrada.