Ogni volta che guardo un film di Kitano rimango spiazzato e a bocca aperta. Riesce a creare una vera connessione tra lo spettatore e la storia che si rimane praticamente incollati allo schermo. Pensarlo poi nelle vesti di comico come in “Mai Dire Banzai”, mi crea reazioni ancora più contrastanti.
Il titolo del film, preso dal famoso paradosso di Zenone, è in se già un piccolo capolavoro che segue come filo conduttore l’evolversi del racconto.
La trama è semplice, un bambino cresciuto per essere un artista a tutti i costi si convince di esserlo e prova in tutti i modi di esprimersi. Tutta la famiglia cade in disgrazia e questo sembra perseguitarlo in tutta la sua vita, la morte lo circonda e la notorietà artistica sembra essere sempre dietro l’angolo.
Un film molto più che drammatico, struggente, distruttivo, lento, a tratti surreale, ma incredibilmente pieno di significato e passione.
Un film da vedere con le dovute precauzioni e preparazioni perché come tutte le opere serie ed impegnate di Kitano raggiunge livelli di disperazione e depressione cosmici che escono forzatamente dallo schermo e investono anche lo spettatore meno sensibile.
Alla fine credo però che questo stesso film sia dedicato alla vita stessa, da comprendere in maniera introspettiva e osservando i micro movimenti facciali di Kitano che da soli sembrano voler dire tantissimo.