Prima di quel periodo nel centro non mi ricordo di aver mai fatto molti sogni, anzi quando andavo a dormire praticamente mi spegnevo e mi riaccendevo la mattina dopo.
Invece in quelle notti passate nel centro i miei sogni aumentavano sia nella durata che nell’intensità , ogni giorno sempre di più.
Quella notte sognai il centro, ero lì che mi muovevo in maniera ansiogena tra ti vari reparti, livelli e persone.
Parlavo con le persone che incontravo, ma tutto era incomprensibile, alterato, enigmatico.
Nel mio girare per il centro alla ricerca di qualcosa alla fine mi scontrai quasi letteralmente con due personaggi che non avevano nulla da dire con quei luoghi.
Si trattava dell’ispettore Marco e di Teddy, forse l’unica persona che abbia passato del tempo con me per il puro piacere di farlo.
A dire il vero non mi sembravano nemmeno loro nel sogno, ma qualcosa mi diceva che erano comunque loro.
Non capivo nulla di quello che mi dicevano, fu solo un’istante in qualche luogo del centro che non riuscivo bene ad identificare e poi…
Fui risucchiato o catapultato, non l’ho ancora capito, nello stato di veglia.
La nuova giornata stava avendo inizio e la mia insofferenza già di prima mattina era molto alta.
Quasi non riuscii ad alzarmi da letto che il tenente era già in camera mia, ma dormire no?
“Buon giorno… Allora, hai deciso come dovremmo chiamarti da oggi in poi?”
“Ma che ne so…”
Risposi in maniera scocciata e molto assonnata.
“…mi sono appena svegliato e ancora non capisco nulla… ma che ore sono?”
“Sono le 06 e 39, sei già in ritardo se non ti muovi.”
“COSA!”
“Ma è l’alba, fatemi dormire, ne riparliamo poi dopo le otto e mezza.”
“Dai, muoviti, alle 08 e 00 hai la prima lezione, ora devi fare un po’ di attività fisica.”
“Ma sei fuori!”
“Va bene, allora rimani pure così.”
Nel dire quella frase si avvicinò alla porta della mia camera, la aprì e si mise a parlare con qualcuno subito fuori.
Ero ancora in pigiama, forse è eccessivo chiamare maglietta e pantaloncini pigiama, ma fui preso ugualmente di forza da due “assistenti” del tenente e portato bellamente all’aperto davanti ad un signore sulla quarantina in tuta da ginnastica.
Dire che l’aria era pungente è semplicemente riduttivo, stavo proprio rabbrividendo.
“Non mi sembra proprio la tenuta ideale per questo clima, forse la prossima volta è meglio se cambi. Dai su, muoversi siamo già in ritardo.”
Mi sarei proprio voluto vedere allo specchio, perché la mia espressione in quei minuti deve essere stata qualcosa di veramente surreale.
Un risveglio così d’urto non lo avevo mai fatto e solo la doccia calda al termine dei massacranti e logoranti esercizi riuscì a tirarmi un po’ su il mio morale che definire nero era un vezzeggiativo.
Ero in ritardo e quei bravi “assistenti”, che sarebbe meglio definire scagnozzi, del tenente mi trascinarono appena pronto alla mia prima vera lezione.
“Buon giorno, ben arrivato, certo che se iniziamo così non c’è male, ha già quasi 5 minuti di ritardo.”
“Mi scusi è che non mi sono ancora ambientato.”
Perché mi stavo scusando, ero incavolato come una iena e poi c’ero solo io, che aspetti no?
“Bene, io sono Guido Pozzo, il tuo insegnante per le materie letterarie e tu come ti chiami?”
Colto alla sprovvista dalla domanda risposi di riflesso e senza pensarci.
“Mi chiamo Marco Taddia.”
Cosa?
Come?
Perché avevo usato il nome dell’ispettore e il cognome del mio amico?
Perché?!