Il professor Pozzo era un normalissimo prof di letteratura e ha subito iniziato a spiegare, ma io ero perso, assente, soprattutto per la levataccia, ma anche per quel nome che ormai mi ero scelto.
Marco, l’ispettore, chissà cosa gli era successo.
Un brivido lungo la schiena e poi un flash… morto, sua figlia, quegli esseri…
“Quindi Ilior…
Mi alzai di scatto.
“…Voleva dire qualcosa?”
Sembravo caduto dalle nuvole e non sapevo minimamente cosa rispondere.
“Hem… Dovrei andare in bagno?”
“Prego, faccia pure.”
L’ispettore mi stava tormentando, dovevo capire che gli era successo, se era ancora vivo.
Intanto la mattinata stava passando tra una lezione e l’altra.
Era come un immenso ripasso, una lezione diretta in cui i professori indagavano quello che sapevo per poter creare un programma giusto per me.
Il fatto è che praticamente dovevano già conoscermi benissimo, oppure ero un povero ignorante, perché anche nelle materie che meglio conoscevo riuscivano ad avere la meglio.
Ovvio direte voi, ma invece per me alle superiori spesso era il contrario, ero io che in alcune materie riuscivo a mettere in buca i professori.
Finalmente arrivò l’ora di pranzo, non ne potevo già più, una mattinata infinita in cui non avevo avuto un attimo di pausa.
Ora però finalmente l’opportunità di parlare con il tenente era arrivata, almeno così pensavo.
Fui portato nella sala mensa.
Miei dei quanta gente!
Presi qualcosa da mangiare, avevo una gran fame a dire il vero, poi andai a sedermi in un angolo della grandissima sala.
Ero tutto solo, non conoscevo nessuno e nessuno mi conosceva e così mi misi a guardare la gente, il passaggio, come se fossi stato uno spettatore davanti ad una televisione.
Non credevo potesse esserci così tanta gente in quel luogo, giovani, anziani, uomini e donne.
Mi sentivo spaesato e l’ispettore mi era totalmente sfuggito di mente, la paura, l’abbandono avevano preso gran parte del mio controllo.
Ero demoralizzato pensando che avrei avuto ancora altrettante ore di lezione nel pomeriggio, un po’ di depressione si stava facendo largo in me.
Così mangiai alla svelta e me ne andai a cercarmi un angolino tranquillo dove provare a riprendermi.
Non ve ne fu il tempo, le lezioni richiedevano la mia presenza, così fui portato dal prossimo insegnante e via ad annoiarsi e a stressarsi fino all’inverosimile.
Ma sarebbe veramente servito?
A cosa poi?
Al termine delle lezioni era già sera tarda e il cervello mi scoppiava come non mai.
Fui riportato in camera e lì che fare?
Poi appoggiato al letto un pensiero ritornò all’ispettore.
Presi il telefono e mi rispose il centralino.
“Che le posso passare?”
“Vorrei che mi cercare il numero di una persona.”
“Esterna o interna al centro?”
“Esterna.”
“Mi spiace, lei non risulta abilitato.”
Un certo nervosismo stava entrando in me.
“Ma come… Ok, e con chi potrei parlare per farmi autorizzare?”
Non rispose nemmeno, mi inoltrò semplicemente la chiamata.
Dopo pochi istanti rispose una voce che riconoscevo, sarebbe stato ovvio prevedere che avrebbe risposto proprio lei.
“Buona sera Massimo, o dovrei chiamarti Marco Taddia ora?”
“Sera Maggiore,mi chiami come preferisce…”
“Male, ora tu per il mondo sei Marco Taddia e devi abituarti sempre e solo ad essere chiamato così.”
“Ok, va bene, ma vorrei cercare e poi chiamare una persona esterna al Centro e non me lo lasciano fare.”
“Certo, solo quando avrai terminato l’apprendimento sarai autorizzato.”
Allora ero proprio in prigione.
La rabbia stava montando con una rapidità incredibile.