Si dice che la notte porti riposo e consiglio e devo ammettere che quella notte portò tanto sonno e forse anche un pizzico di consiglio.
Non riuscivo proprio ad aprire gli occhi sebbene avessi il sole dritto sulla faccia e fossi lì mummificato da quasi nove ore filate.
Il problema era che ero ancora intontito, i sogni assurdi e senza senso della nottata non mi avevano permesso di riposare appieno, ma i miei muscoli iniziavano ad essere indolenziti per l’immobilità forzata, per non parlare poi della zona lombare che proprio non voleva saperne di rimettersi a funzionare correttamente.
Mamma mia quel panorama montano, ancora oggi chiudendo gli occhi riesco a rivederlo nella sua desolazione e tranquillità apparente.
Mi rimisi in marcia, il tempo passava senza sosta, ma non avevo meta, non sapevo proprio cosa fare.
Camminavo e camminavo tra quelle rocce senza aver la minima idea del da farsi e poi una riminiscenza della notte attraverò la mia mente con un effetto più rinvigorente del vento freddo che sferzava sul mio viso.
Non s itrattava della parte in cui correvo e correvo come se scappassi da qualcosa o qualcuno, ma si trattava di un’immagine di qualcosa di indefinito ma pacifico e amichevole.
Guardando la cartina della zona B vidi finalmente, senza essere annebbiato dal panico e dall’ansia, quello che poteva essere identificato come un sentiero o similare che attraversava tutta l’area da nord est a sud ovest.
Stranamente quando riconobbi il sentiero la prima cosa che mi passo per il cervello non fu un senso di solievo, liberazione o una possibile via per fuggire dall’organizzazione, fu semplicemente: “una carovana, ma certo!”.
Per raggiungere il punto del sentiero in linea d’aria più vicino a me dovevo passare obbligatoriamente di vallata.
Mi misi subito in marcia ma quando raggiunsi il valico per l’altra vallata, le linee isometriche della cartina segnavano circa 5600 metri, rimasi quasi senza fiato e una nuova fitta alle tempie, di pochi secondi, mi fece letteralmente accasciare al suolo ansimante per lo sforzo.
Guardai il cronometro, erano passate già 26 ore e mezza dall’inizio della missione e il sole era bello alto nel cielo, così decisi di fermarmi a mangiare qualcosa dalle mie razioni, per recuperare un po’ le forze.
Il freddo era pungente anche di giorno, ma a guardare quel limpido panorama non si poteva essere altro che rilassati e anche i pensieri sembravano rallentati.
Stavo masticando una barretta energetica, mentre guardavo il panorama in direzione est e ponderavo la ciclicità delle fitte al capo quando una buona e una cattiva notizia mi invasero totalmente.
Iniziamo dalla buona notizia, avevo forse trovato la mia missione, una carovana che stava transitando sul sentiero segnato dalla cartina.
Volete proprio sapere la notizia cattiva?
Loro erano ad una altezza di circa 4900 metri e ad una distanza da me in linea d’aria di più di un chilometro e mezzo e continuavano a muoversi.
Inghiottii la barretta immediatamente e buttai giù qualche liquido prima di riprendere la marcia.
… Tic Tac Tic Tac Tic Tac …
Il tempo non si decideva a rallentare e continuava a scorrere con la solita cadenza, dovevo raggiungere quella carovana prima di notte ma ormai iniziavo a dubitare di riuscirci.
Il cronometro segnava ormai 35 ore, era ormai buio e io ero veramente distrutto per la grande camminata.
Appena girata un curva del sentiero mi lasciai cadere a terra e chiusi un attimo gli occhi per riprendermi, stavo ansimando, per non dire che tiravo il fiato col culo, e il freddo era molto più intenso della notte precedente.
Uno strano sbuffare e una ventata di aria calda ma fetida mi destarono dal mio momentaneo assopimento.
Uno Yak mi stava guardando dritto negli occhi.