Fortunatamente a quell’ora della notte la stazione dei treni risultava praticamente deserta, la biglietteria chiusa e il primo treno in partenza era per Roma, la nostra capitale.
Non era certo la meta preferita per un fuggiasco, però non potevo aspettare fino all’alba, dovevo prendere l’espresso notturno per Roma.
Fortunatamente la tecnologia aveva sostituito l’essere umano e feci il biglietto alla biglietteria automatica evitando così che qualcuno potesse riconoscermi.
Stavo attento anche alle videocamere di sorveglianza e il cappellino sportivo che mi ero messo unito al mio sguardo basso impediva ulteriormente l’identificazione.
Forse aver visto tutti quei film targati U.S.A. era servito a qualcosa, ma questo non era certo un film, era la mia vita e anche se non sapevo perché, più mi allontanavo da casa e più la paura in me iniziava a crescere.
Mancavano ancora un po’ di minuti all’arrivo del treno e alla sicurezza, sebbene relativa, degli scompartimenti da sei di quei treni ormai vecchi di decine di anni.
D’un tratto un’uomo bianco sulla trentina sbucò fuori da un’angolo e corse via senza che potessi reagire.
Il mio cuore iniziò subito a battere all’impazzata.
Non mi era nemmeno passato vicino, non mi aveva minacciato, era semplicemente corso via.
Il tempo di riprendere la mia strada e mi si parano davanti due poliziotti.
Il cuore per un’attimo si fermò, i sudori freddi mi presero e i miei occhi erano totlamente sgranati.
“Scusi, ha visto passare un’uomo di lineamenti jugoslavi?” mi domandò uno dei due poliziotti.
Il mio cuore riprese a battere regolarmente e la bocca rispose con una calma che mi stupì data la mia tensione.
“Di là ” dissi ai poliziotti.
Dopo di ché mi diressi a testa bassa verso la banchina del mio treno e rimasi lì pregando i miei dei di far giungere il prima possibile il mezzo per la mia fuga.