“Salve, sono Gabriele Rossi, mi ha dato il suo numero di telefono Daniele Grillini.”
“Buongiorno, sono Raffaele Taddia, ero già stato avvisato della sua chiamata, solo non capisco il motivo di questa discussione, perché avrebbe bisogno proprio di me?”
“Non vorrei parlarne al telefono perché richiederebbe molto tempo, però avrei delle informazioni su Massimo Accorsi che potrebbero interessarle.”
“Mi scusi, ma perché dovrebbe dirle proprio a me? Poi chi mi dice che lei non sia un millantatore?”
“Verissimo e credo che tutto quello che potrei dire a mia difesa non servirebbe a nulla. Quindi se è interessato io mi farò trovare domenica alle 11 al bar Gambero nella piazza del suo paese. Arrivederci.”
Che telefonata assurda, ha riattaccato senza farmi nemmeno replicare. Però…
“Teddy chi era al telefono?”
“Solo uno dello staff di Grillini che voleva chiedermi alcune cose. Dai ragazzi allora come siamo messi con le domande per l’intervista?”
“Abbiamo già scelto quelle adatte e ora basta solo risistemarle.”
“Perfetto, allora posso lasciarvi fare da soli. Vi saluto perché è già tardi e domani anche se è sabato mi tocca di andare a lavorare. Ciao.”
“A proposito Teddy, se ti va noi ci ritroviamo domenica mattina alle dieci e mezza finita la messa per andare a fare colazione.”
“Grazie Monica. Se riesco farò un salto, ma ho già un altro impegno per questa domenica mattina.”
Mamma mia come era comodo quel letto, o più probabilmente ero io ad essere così stanco che qualsiasi pezzo di legno ruvilo mi sarebbe sembrato un soffice e caldo materasso.
Mi riposai incredibilmente, anche se durante la notte mi risvegliai di colpo e mi ritrovai al fianco della porta della camera.
All’esterno sentii solo un tonfo sordo sul pavimento, qualcuno doveva essere caduto a terra a peso morto e pochi secondi dopo udii la voce del Sergente.
“Tenente, non si preoccupi, ho fermato il curioso prima che potesse entrare nella camera dei ragazzi.”
Immediatamente il mio livello di attenzione calò bruscamente e mi diressi nuovamente nel letto in cui pochi istanti dopo piombai nuovamente nelle braccia di Morfeo.
Fulvio non si era accorto di nulla.
La mattina una nuova sfida mi stava aspettando, era quella dei quarti di finale.
Questa volta il campo sembrava più serio degli altri, una classica palestra con un’area di lotta come quelle che si vedono durante le competizioni olimpiche.
Solo una cosa mi turbava un attimo, il mio avversario era quel bisonte a cui due sere prima avevo sputato addosso il cocktail.
“Ti avevo consigliato di non incrociare la mia strada durante questa competizione. Ora dovrò distruggerti.”
Io non risposi nemmeno, aspettai il via dai giudici e iniziai a combattere.
I primi attimi li passammo a studiarci, poi presi l’iniziativa e mi feci sotto provando un calcio alle caviglie.
Purtroppo anche se il mio avversario era più debole nella zona bassa del corpo, non lo era abbastanza per scomporsi troppo, ne seguì una rapida serie di colpi di entrambi.
Purtroppo la sua netta superiorità fisica la stava facendo da padrone, i suoi colpi facevano male ma soprattutto mi spingevano ad indietreggiare e non avevo uno spazio così ampio in cui muovermi, non ci ero abituato.
Questo mi portò a non essere concentrato a sufficienza e dopo qualche altro scambio di colpi mi ritrovai stretto braccia e tronco tra le braccia del mio avversario che sollevandomi di peso mi stava portando verso la fine dell’area di combattimento.
“Sarebbe troppo facile per te.” Mi disse arrestando il passo.
“Ora ti farò un bel po’…” Non gli lasciai il tempo di terminare la frase.
Quando si fermò realizzai in un lampo che non aveva senso l’essere preoccupati per una semplice linea.
I combattimenti che facevo normalmente in allenamento si svolgevano in molto meno spazio.
Colpii il bisonte sul naso usando la mia fronte.
Non fu certo una scelta felice infatti il suo naso si rivelò più duro del previsto, oppure la mia fronte più debole, dipende dai punti di vista, ma il risultato era stato ottenuto.
Liberandomi dalla presa e guadagnando un po’ di spazio di movimento rimasi lì immobile qualche decimo di secondo che mi sembrò un’eternità.
Aveva le gambe lievemente divaricate e una mano sulla faccia, mentre con l’altra cercava di riprendermi.
Istintivamente lasciai partire un calcio che con il collo piede si insaccò perfettamente nella sua zona inguinale.
Lo ammetto, il solo pensiero fa rabbrividire anche me.
Lo vidi rantolare a terra agonizzante senza fiato, guardai i giudici e nulla, così capii che dovevo farlo uscire dal campo per vincere.
Lo presi per un braccio e lo feci girare sul tappeto di plastica che grazie al sudore e alle lacrime era diventato scivoloso.
Presa la giusta velocità lo lasciai scivolare all’esterno dell’area di combattimento.