“So chi sei e so che fai parte dell’organizzazione. Spero che tu sappia combattere veramente come dicono, altrimenti quel fisico sarebbe sprecato.”
Lo potevo percepire, nell’aria non cera solo eccitazione per il combattimento, c’era anche una certa dose ormonale che rendeva tutto molto più complicato.
Nel momento di silenzio e imbarazzo che si era creato subito dopo quella frase venne dato il via al combattimento.
Un brivido mi percorse lungo tutta la colonna vertebrale e dopo qualche frazione di secondo di incertezza ero calmo e concentrato, sembrava come se l’inizio della sfida avesse decretato una cancellazione forzata di tutto quello che era avvenuto fino a pochi istanti prima.
Non mi sembrava di essere in mutande, non ero imbarazzato e soprattutto potevo sentire perfettamente il rumore del vento e delle onde, il rollio della piattaforma sotto i miei piedi e vedevo la mia avversaria anch’essa concentrata nello studiarmi.
Qualche piccolo movimento giusto per prendere confidenza con i supporti che ci impedivano di cadere in acqua, i miei piedi non erano saldi, ma si stavano abituando ad una superficie bagnata, salata e ondeggiante.
Infine il movimento repentino verso l’avversario e il centro della piattaforma.
Il primo contatto, una mia parata su un suo attacco fu quasi elettrico, significativo, intenso e comunicativo. Dopo tutto fu annebbiato, i miei ricordi sono imprecisi, i movimenti e le reazioni furono così rapide e istintive che non riuscirei nemmeno a descriverle. Gli attacchi erano forti e violenti, ma rapidi e fulminei. Brevi scambi e poi via indietro sulle proprie posizioni in cerca di un nuovo punto debole nell’avversario.
Sentivo il mio respiro affannoso e sentivo i punti di contatto dei colpi infuocarsi per poi spegnersi nuovamente con un ritmo pulsante che in poco sarebbe stato coperto dall’adrenalina.
Mi sentivo forte, eccitato e bramoso di continuare, ma in realtà non ero proprio io, anzi io mi sentivo un po’ distante da quello che stava succedendo, come se a combattere fosse un qualcosa che non riconoscevo appieno, ero ovattato dalle infinite percezioni che mi assalivano.
Altri scambi, e poi ancora altri, non saprei dire quanti e di che durata, ma di sicuro stava passando del tempo e io stavo subendo i suoi attacchi e non riuscivo a trovare spazio per i miei, mi stavo adattando e subendo la sua tattica e fisicità.
“Allora, hai deciso di arrenderti visto che non riesci a concludere molto?”
“A dire il vero ci stavo pensando, ma sai, sono bastardo e maschilista e non mi va di essere battuto da una come te.”
Anche quelle parole, uscirono istintive e appuntite come non credevo di essere capace in situazioni di quel genere. La rabbia di quella mia frase la si poteva leggere nel volto di Irina. Altri attacchi seguiti da mie parate, mi stavo spostando troppo sul bordo, effettivamente lei era più rapida e sicuramente con un’esperienza maggiore di me nel combattimento e io non riuscivo a reagire, mi sentivo con una specie di pilota automatico istintivo che si preoccupava di non subire colpi decisivi. Provai a prendere nuovamente in mano il mio corpo attaccando violentemente per recuperare spazio dal boro. Purtroppo avrei fatto probabilmente meglio a lasciare tutto come stava, perché quella mia decisione improvvisa mi catapultò fuori dallo stato di istintività che mi aiutava a difendermi. Ora sentivo tutte le sensazioni più vive, ma un’ombra di panico mi prese e mi spinse ad un attacco avventato nel tentativo di cercare un affondo all’altezza del fegato. Il mio colpo venne deviato, ma ero sbilanciato e dovendo recuperare equilibrio non badai troppo ai miei movimenti, così per un istante che sembro un’eternità mi ritrovai con il palmo e le dita della mia mano esattamente sopra il suo seno sinistro in una strana e ambigua mossa di palpeggiamento.
Ci fermammo all’unisono senza parole e con sguardi estremamente imbarazzati. Se chiudo gli occhi e mi concentro su quel momento, posso avvertire ancora perfettamente la consistenza del suo seno, indescrivibile a parole, ma di una intensità e piacevolezza viva ancora oggi.
Ovviamente lei piena di rabbia per l’imbarazzo reagì prima e mi piantò le cinque dita della mano esattamente sul petto attorno allo sterno, 3 sopra e 2 sotto.
Sentivo la respirazione bloccata, le gambe tremare e il baricentro che si spostava indietro inesorabilmente. Stavo per cadere in acqua.
“E con la mia mossa delle 5 dita non hai scampo. Hai perso!”
Non potevo fare nulla per arrestare la mia caduta in acqua, ero troppo inclinato all’indietro e con il respiro bloccato.
In un attimo che durò un’eternità potevo percepire solo il mio petto e i miei polmoni, li sentivo, li ascoltavo e come con un aggeggio elettronico staccai tutto e riavviai, ma non chiedetemi come perché non ne ho la più pallida idea. Pochi decimi di secondo dopo l’aria irrompeva nuovamente dentro di me il mio corpo fu invaso da una fiammata che mi fece dare slancio sulle gambe facendomi riatterrare dopo un avvitamento nella piccola piattaforma alle mie spalle a qualche metro da quella principale.
“Ma come hai fatto! Non è possibile!” Irina era incredula attonita.
Non mi resi nemmeno conto, mi diedi slancio e saltai sulla piattaforma principale proprio addosso a Irina. Cademmo uno sopra l’altro, ci rialzammo di scatto entrambi ma lei questa volta era dalla parte del bordo e ancora frastornata per il mio recupero. Pochi istanti dopo Irina cadeva inesorabilmente in acqua. Senza rendermene nemmeno conto avevo usato la sua stessa mossa contro di lei.
Avevo vinto, ma non ci badai troppo, istintivamente mi buttai subito in acqua per aiutarla.