L’arrivo di Benedetta fece evaporare il mio pensiero alla stessa velocità del volto di Raffaele.
“Raffaele posso parlarti un attimo?”
Fece un cenno di assenso a Benedetta e le indicò di aspettarlo più in là.
“Quando mai ti deciderai Raffaele?”
Lui aveva perfettamente capito a cosa mi riferivo e lo dimostrò sorridendo un po’ beffardamente.
“Quando tu ti deciderai.”
Quella sua risposta ancora un volta mi fece trasalire pensando che avesse capito chi ero anche se non sapevo come avrebbe potuto fare. Quindi seguendo il rasoio di occam alla fine mi resi conto che forse voleva riferisci a Monica. Sorrisi e mi congedai.
Rimasi lì seduto e pensieroso sui gradini dell’altare della patria ad osservare la folla dormiente e sommariamente tranquilla che stava protestando pacificamente quando il rumore di un elicottero molto più basso rispetto agli altri richiamò la mia attenzione. Si mise a girare sopra l’area con un faro acceso che puntava casualmente i manifestanti e poi si accese il megafono che scuarciò definitivamente il silenzio prima dell’alba, come se già l’elicottero non fosse abbastanza.
“Sono il presidente Silvano Bergonzi e sono qui a chiedervi di abbandonare l’area. Ho appena parlato con il presidente Nappo che sentendosi minacciato e accerchiato nel suo palazzo mi ha dato pieni poteri militari. Dovete disperdervi subito, è il vostro presidente che ve lo dice.”
Il messaggio continuò a risuonare ripetutamente mentre un folto brusio crebbe tra tutti i presenti. Vidi Raffaele dirigersi al microfono, doveva parlare e tranquillizzare tutti, e dopo alcune frasi sembrò riuscirci. Il quirinale in effetti non era accerchiato da manifestanti, ma da militari che non lasciavano passare nessuno e i ragazzi messi lì qualche giorno prima tenevano ben lontani i manifestanti proprio per evitare problemi.
Mentre guardavo la folla che si riprendeva dallo stordimento mi sentii trasalire, una forte scossa mi percorse tutto il corpo e non voleva andarsene, come per richiamarmi all’attenzione. Senza pensarci due volte iniziai a correre tra la folla, non mi resi nemmeno conto che stringevo nella mia mano sinistra la spada recuperata da mio nonno.
Delle urla agghiaccianti coprirono per un’istante la voce di Raffaele al microfono. Arrivai pochi istanti dopo in quel punto dove c’erano una mezza dozzina di manifestanti uccisi a coltellate. La gente era impaurita e aveva iniziato a scappare da tutte le parti. Questo mi permise di vedere però da chi stavano scappando. Un’omone che si infilò rapidamente in via del plebiscito. Io mi lanciai all’inseguimento come un forsennato, quancosa mi diceva che dovevo inseguirlo e catturarlo anche se stavo andando dritto contro la polizia in assetto antisommossa.
In quel momento non me ne resi conto, ma la situazione era totalmente degenerata in tutta l’area. la gente scappava in tutte le direzioni e le forze dell’ordine iniziarono a caricare e a lanciare lacrimogeni indiscriminatamente. La gente dopo un primo mento di fuga iniziò a ricompattarsi verso piazza venezia. La pressione era così tale che la gente prese l’unica via che era stata lasciata loro, quella di via 4 novembre e poi in via 24 maggio che portava al Quirinale. Ormai era chiarissimo l’intento delle forze dell’ordine, rendere vere le parole pronunciate prima alla folla.
Io però in quel frangente avevo solo in mente una cosa, fermare chi aveva ucciso così quelle povere persone.
Eravamo in una zona cuscinetto. Le persone correvano alle mie spalle e la polizia che caricava e lanciava lacrimogeni. La polizia si fermò di colpo.
La mia corsa si fece più veloce quando ad un certo punto si fermò voltandosi verso di me in segno di sfida.
L’uomo iniziò a corrermi contro, non lo avevo mai visto, ma qualcosa di lui mi sembrava di conoscerla. I suoi occhi, la sua rabbia erano come quelli della finale del torneo.
Un brivido mi percorse e non feci in tempo a fare nulla che venni sopraffatto e lanciato contro un muro poco distante.
Mi sentivo tutta la schiena irrigidita e non feci quasi in tempo a rialzarmi che venni colpito in pieno petto da un pugno sentendomi mancare il fiato.
Quell’omone non scherzava e io non capivo perché non riuscivo a reagire come al torneo. Poi l’uomo estrasse il lungo coltello con cui aveva ucciso quelle persone e io senza pensarci estrassi la spada, solo che non voleva uscire.
Parai il colpo con la custodia, ma un pugno mi prese in pieno volto e fui scagliato ancora a terra e un po’ distante da quell’essere.
“E dire che mi avevano detto che saresti stato un avversario formidabile!”
Aggiunse una risatina a quella frase che proprio non mi piaceva, ma in fin dei conti aveva ragione. Ero stordito, tartassato e avrei dovuto proteggere Monica e Benedetta, non combattere contro di lui. Quel pensiero, l’aver infranto una promessa a Raffaele mi fece riscaldare tutto il sangue nelle vene, potevo sentire il calore che dalla periferia raggiungeva il centro del mio corpo per poi rifluire all’esterno come in un’esplosione di energia.
Iniziai a fissare quell’ominide e senza più nemmeno pensare, come se tutto fosse naturale estrassi la katana e la misi in posizione di attacco davanti a me.
La lama era lucente e quasi risplendeva ai bagliori dell’alba. Non avevo mai visto nulla di così formidabile, era bilanciatissima e il manico si adattava perfettamente alla mia mano come fosse una cosa unica. Sembrava una perfetta estensione del mio corpo.
Non feci nemmeno in tempo a pensare al tipo di attacco che volevo fare che lo avevo già fatto e quell’essere era ridotto in brandelli. L’unica cosa che potevo fare era cercare di capire quello che avevo fatto in quei pochi istanti. La lama era perfettamente pulita e la rinfoderai poi mi misi subito a correre verso l’altare della patria alla ricerca di Monica e Benedetta. Ovviamente mi misi a correre in quella direzione anche perché i militari, dopo un primo attimo di sbigottimento dovuto alla visione della scena, avevano cominciato a caricarmi.